La puntata 3 e 4 di 1994 non potevano che essere legate agli altri due protagonisti della serie targata Sky Atlantic e cioè il leghista Pietro Bosco e il Magistrato Antonio Di Pietro.
Da notare subito, prima di continuare l’analisi dei due episodi, il fatto che solo Di Pietro è un personaggio realmente esistito, mentre gli episodi precedenti hanno riguardato solo personaggi di Fantasia come Leo Notte, Veronica Castello e Pietro Bosco.
Pietro Bosco Leghista dal cervello fino.
Il personaggio di Pietro Bosco è certamente fra i più semplici da inquadrare. Lui viene dalla strada, ha una cultura medio bassa, ma ha grande capacità di usare bene la sua testa.
Egli conosce i suoi limiti, ma gli altri pensano che lui sia un po’ come Bertoldo, cioè uno zotico senza cervello, un leghista ignorante, come direbbe l’opposizione più accesa.
Invece Bosco, e lo dimostrano le stagioni precedenti, non solo è un uomo furbo ma anche un leghista migliore di molti suoi colleghi.
Guido Caprino ci tratteggia bene il Pietro Bosco che vedremo in questa stagione 3 di 1994, un uomo ormai quasi veterano dei palazzi del potere, un quasi leader all’interno della Lega, che però vede sempre e solo come un mezzo per mantenere quel potere, tentando comunque di mantenere una sua morale e una personale ambizione.
Bosco si ritrova così a gestire bene la parte politica e malissimo quella familiare, a partire dal rapporto contrastato con il padre che proprio per quella visione personalistica di moralità e ambizione, vede come un ostacolo alla sua affermazione totale e convincente.
Buon politico, pessimo figlio.
Così deve ricorrere a tutta la sua, se passate il termine, “rozzezza furba” per cavarsela in una diretta televisiva nella quale il padre per l’ennesima volta non segue le logiche del figlio ma le logiche di un uomo problematico incapace di vedere oltre la sua mediocrità.
Però è questa mediocrità che alla fine fa rimpiangere a Bosco il padre, ucciso dallo strozzino che aveva denunciato e liberato dal famoso decreto Biondi.
Ora come non mai Bosco si sente solo, avverte il fatto che ora il muro di incomprensioni con il padre non è più abbattibile con una robusta spallata, non può urlargli contro, non può aiutarlo a salvarsi e sebbene con i limiti determinati dalle loro forti personalità, non può nemmeno volergli bene.
Lo si capisce nella scena in cui svuota il modesto appartamento del padre e il torrente dei ricordi lo travolge inesorabile e piange per ogni secondo perso a urlarsi contro, all’orgoglio maledetto che l’ha allontanato da quella che, nel bene e nel male, era la sua famiglia.
Il politico Bosco: una macchina ben oliata.
Politicamente Pietro Bosco è un siluro. Apprezzato dai capi partito, Bossi addirittura lo incarica di sorvegliare Maroni, viene ricevuto da Berlusconi, in questo episodio un filo più caricaturale rispetto ai primi due episodi.
La sua determinazione politica gli nasce proprio da questa sua capacità innata di capire in pochi attimi che scelta fare.
Un gatto cade quasi sempre in piedi e Bosco politicamente è proprio come un gatto, pronto a dare sfogo alla sua istintualità quasi selvaggia.
Lo vediamo bene nella sua gestione della questione Maroni e soprattutto quando si rende conto che il decreto Biondi ha di fatto ucciso il padre.
Antonio Di Pietro uomo di legge o semplicemente uomo?
C’è differenza fra un uomo di legge e un uomo. L’uomo di legge non può essere fallace, non può cedere alle debolezze umane, deve per sua natura fare da esempio morale.
A maggior ragione se parliamo di Di Pietro, che negli anni analizzati da questa trilogia, ha determinato le sorti di una delle più grosse indagini sulla corruzione politica degli ultimi 30 anni.
Questa domanda se la pone un personaggio che torna alla ribalta in 1994 e cioè Dario Scaglia, interpretato da Giovanni Ludeno.
Scaglia è il collaboratore più fidato di Di Pietro, proviene da una famiglia il cui padre è un ex generale della Guardia di Finanza e il cui fratello è ai vertici della stessa istituzione.
In questo caso, trattandosi di un personaggio realmente esistito, serviva un filtro che, utilizzando le sue vicende personali, potesse descrivere la personalità e le scelte del Di Pietro magistrato.
Scaglia è dunque perfetto per questo ruolo, anche se, con molta probabilità quel posto era all’origine destinato a Luca Pastore, interpretato da Domenico Diele, purtroppo coinvolto in vicende giudiziarie delle quali sono piene le cronache degli ultimi mesi.
Molto pubblico e poco privato per Di Pietro.
!994 rispetto a Di Pietro ha un atteggiamento meno concessivo, non eccede mai troppo nella ricostruzione fantasiosa, preferendo di gran lunga una lettura più determinata dal Di Pietro pubblico che non dall’immaginare la sua vita privata come invece si fa giustamente a mio avviso con Berlusconi, uomo talmente pubblico da risultare complesso trovare momenti privati.
Eppure 1994 ci riesce e si immagina Berlusconi che gioca con la coppa dei campioni (che in realtà credo non sia mai stata ad Arcore se non per brevissimi periodi) insieme a Bosco e Maroni, oppure come in 1993 e anche in 1994, quando mostra il suo lato privato nei dialoghi con Notte.
Con Di Pietro tutto questo non viene fatto. Quasi sempre si analizza la parte pubblica del magistrato.
Quando Scaglia gli rovescia addosso il dossier che l’accusa di concussione, peculato, regalie etc, la reazione è quella determinata dalla conoscenza del personaggio pubblico, cioè un uomo senza compromessi, convinto fin nel midollo di avere una missione, un uomo dai modi a volte rudi e sanguigni.
Proprio attraverso il filtro di Scaglia, 1994 prova a contornare meglio Di Pietro, ma a mio avviso e pur apprezzando la grande prova di Antonio Gerardi, è mancato proprio quel coraggio di fantasia che invece si è avuto per altri personaggi reali di quell’epoca.
Scaglia sceglie Di Pietro.
Passaggio fondamentale per comprendere il grande potere mediatico e la forte personalità di Antonio Di Pietro è determinata dalla scelta che Scaglia fa nei confronti della sua famiglia.
Il padre si è arricchito con le tangenti, ha comprato ville, macchine di lusso e probabilmente ha conti off shore pingui.
Nella puntata scopriamo che è in punto di morte, un momento nel quale un figlio normale avrebbe scelto di lasciarlo morire per poi nel caso denunciarlo.
Guido Scaglia però non è fatto così. Lui è davvero un uomo di legge, forse più di Di Pietro sul quale in ogni caso aleggia sempre e comunque il sospetto e che soprattutto non offre spazi di manovra narrativa.
Di Pietro batte famiglia 1-0.
Lui invece diventa il vero incorruttibile, capace di andare sopra la malattia terminale del padre, sopra gli affetti stessi di una famiglia che lo ha comunque cresciuto offrendogli il meglio anche usando soldi delle tangenti.
In questo è significativo ascoltare la voce del padre di Scaglia, un uomo alla fine semplice che ammette le sue colpe ma allo stesso tempo lancia quasi una maledizione al figlio, incapace di capire che il bianco e nero non esiste e che a volte la vita mette davanti scelte difficili, al limite e oltre della legge, come capita al padre di Guido che pur colpevole agli occhi della legge, non può essere definito un cattivo padre nell’accezione più stretta del termine.
Scaglia è il prototipo perfetto di Di Pietro e sebbene nell’episodio agisca nella legalità denunciando il padre, resta nello scrivente una certa ritrosia nell’apprezzarne la scelta e condividere i modi.
Sarebbe bastato semplicemente fare il figlio per i pochi giorni di vita che restavano al genitore, giorni forse ipocriti, ma che avrebbero fatto morire in pace non un ex generale corrotto, ma un padre che malgrado tutto lo amava.
Passo e chiudo.
Votate Serial Crush ai Macchianera Internet Awards 2019! Clicca sull’immagine per andare alla scheda di voto.
Potrebbe interessare: